domenica 15 luglio 2007

Jet lag

Dodici ore di viaggio contro la corrente del giorno solare.
Esco dalla mia navicella, metto piede nel nuovo mondo e ritrovo il vecchio me stesso.
Un insoluto, scorbutico, amabile, inafferrabile personaggio, difficile da riconoscere e comprendere.
In questi giorni sono stato definito un "burattinaio", un "idiota", un tipo "squadrato", "un tipo su cui puntare gli occhi", "un maestro".
Io ho preferito ritenermi uno sporco egoista, uno spirito invisibile la cui presenza si nota nell'assenza, un aspirante borderline, uhm, altro?
Ho sfidato le mie possibilità di essere empatico e ho trovato il fianco scoperto.
Tre anni a pensare solo a me stesso mi hanno chiuso in parte i miei occhi verso il mondo, mentre eploravo le vertigini oscuro del mio io disumano.
Luoghi e persone sono state questa volta il teatro di battaglia della sfida della comunicabilità, dell'interazione, del dare e avere.
Ma limitarsi a scrivere così vorrebbe dire sottovalutare l'imponenza divina e il rigole formale delle rovine Teotiuachan, i colori slabrati e le luci disperate delle notti di Città del Messico, il coraggio e la fiducia dei giovani messicani (sono loro straordinariamente umani, o noi poveri esseri senza più passione?), le grottesche figure effeminate delle copie (etero o gay) di avventori dei locali notturni.
Non posso dire che questa sia una città che mi sia entrata nel cuore.
Le mie viscere hanno oggi bisogno di razionalità, distensione, geometrie sicure e respiri profondi per trovare una dimora.
Torno invece a casa con la grande scoperta di un'universalità da affrontare.
Nulla ci rende davvero diversi. Dietro ogni indio, greengo o meticcio si nasconde la stessa volontà di salvezza, di affetto, di realizzazione e di sublimazione.
La cultura, se vuoi, è profondamente sopravvvalutata.

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